L’industria tessile è la seconda più inquinante al mondo e in fase di produzione ricorre a più di duemila sostanze chimiche, alcune delle quali dannose per la salute e per l’ambiente. L’associazione Greenpeace si occupa da anni di realizzare campagne di sensibilizzazione, di testare i prodotti e di promuovere standard di sicurezza che garantiscano l’uniformità dei prodotti tessili alla normativa europea vigente e una produzione di filati e tessuti privi di sostanze tossiche. Esiste, infatti, un regolamento del Parlamento Europeo – REACH – che stabilisce i criteri per l’uso delle sostanze chimiche in Europa. Il problema però assume dimensioni notevoli ed è spesso legato all’importazione di materie prime o prodotti da altri paesi, come la Cina e l’Est asiatico, in cui si utilizzano ancora sostanze che in Europa e Italia sono proibite.
Da un’indagine compiuta dall’Associazione Tessile e Salute, per conto del Ministero della Salute, sui tessili circolanti sull’intero territorio nazionale, è risultato che:
- Il 15% degli articoli è sprovvisto di etichetta di composizione
- Il 34% dei prodotti riporta sull’etichetta una composizione sbagliata
- Il 29% dei campioni presenta un pH fuori dai limiti
- Il 4% di presenza di ammine aromatiche cancerogene
- Il 4% di presenza di coloranti allergenici
- Il 6% di presenza di metalli pesanti
- Il 4% di presenza di formaldeide.
Per aiutare le aziende ad orientarsi in questa difficile materia, nel 2010 l’associazione Tessile e Salute ha pubblicato il rapporto tecnico Uni/Tr 11359, che descrive in modo particolareggiato le sostanze chimiche pericolose potenzialmente presenti nei tessili e i rischi relativi, indicando i limiti di accettabilità a seconda delle categorie d’uso: bambini, contatto con la pelle, non a contatto con la pelle.
La filiera dei capi d’abbigliamento prevede una lunga serie di trattamenti, l’utilizzo di impregnanti e vaporizzazioni con svariati prodotti chimici. Queste operazioni lasciano sugli indumenti tracce più o meno elevate di residui chimici e metalli pesanti. Solo per citarne qualcuno: cromo, nichel, cadmio, piombo, mercurio, formaldeide, clorofenoli.
Tra le sostanze attualmente oggetto di studio, in quanto sospettate di effetti tossici o cancerogeni, ci sono: coloranti azoici, nichel, carrier alogenati, formaldeide, ftalati, clorofenoli Pcp, Tpc e relativi Sali, antiparassitari, paraffine clorurate a catena corta (SCCPs), solventi clorurati e metalli pesanti.
Per essere certi di immettere sul mercato prodotti conformi alle normative, garantiti e sicuri per la salute e per l’ambiente, i produttori devono garantire la completa tracciabilità e trasparenza della filiera. Già diverse importanti aziende (tra le altre, Valentino, Adidas, H&M, Burberry) hanno sottoscritto la campagna Detox di Greenpeace oppure si sottopongono volontariamente alla certificazione Oeko-Tex® Standard 100, che controlla la presenza di sostanze tossiche nei tessuti e fornisce un marchio che è garanzia di qualità e sicurezza.
Fonti: articolo “Vestiti tossici, l’inquinamento addosso” di Vito De Ceglia e Monica Rubino, pubblicato l’11 maggio 2016 su repubblica.it